I buchi neri
Steven S. Gubser, Frans PretoriusPrefazione
Era il 14 settembre 2015, quasi cent’anni esatti dopo la formulazione della teoria della relatività generale da parte di Albert Einstein. Si stava ultimando la preparazione di due enormi rilevatori, uno in Louisiana e uno nello stato di Washington, per una prova di rilevazione di onde gravitazionali. All’improvviso arrivò, del tutto inaspettato, un «cinguettio» particolare, rilevato dagli strumenti. Se fosse stato un suono, sarebbe stato un tonfo sordo, molto debole.
Cinque mesi dopo, a seguito di attente analisi dei dati registrati dagli strumenti, l’osservatorio a interferometria laser per le onde gravitazionali (LIGO) annunciò pubblicamente i risultati. Quel cinguettio era esattamente il tipo di segnale che si sperava di rilevare. Era la lontana eco della collisione di due buchi neri che si fondevano in un unico buco nero più grande. L’annuncio entusiasmò la comunità scientifica: era come se, dopo aver vissuto tutta la vita in bianco e nero, in quell’istante il velo si fosse alzato e, per la prima volta, avessimo potuto ammirare una rosa in tutto il suo splendore.